La progressiva caduta dei secoli nei secoli

 

2024, 197 x 197 cm, ritagli di carta tratti da riviste e libri dei secoli 19esimo e 20esimo

 foto  Francesco Piva 

Quest’opera è la prima di un trittico dedicato al tempo e alla memoria ispirato da tre diverse poesie. In una qualche misura si tratta di grafici di poesie

Le immagini e i testi sono tratti da riviste e libri del secolo ventesimo e ventunesimo. I quadrati di carta procedono allineati verso il centro del cerchio, lì dove tutto, in modo graduale, diventa sempre più illeggibile per il colore scuro e per l’assottigliarsi dei riquadri. Le frasi che si potevano leggere per intero, i volti, gli animali, le tabelle numeriche, gli alberi, gli edifici risultano a poco a poco incomprensibili.

Fonte di ispirazione una poesia di Testori:

 

La calma, dolcissima caduta dei cementi;

la caduta solenne delle case,

dei petali di fuoco che i raggi rimandano dai vetri;

l’antica, fatale caduta delle piazze sulle strade,

delle strade sulle piazze (…)

l’antica caduta dei platani

e dei pioppi (…)

la dolce, calma progressiva caduta

dei secoli nei secoli e millenni

il rumore vano che lascia dietro di sé

il mondo

ed il silenzio (…)

 

Eclisse. Le foglie non bastano a coprire la faccia

 

2024, 197 x 197 cm, ritagli di carta tratti da riviste e libri dei secoli 19esimo e 20esimo

I frammenti ritagliati di vegetazione e di foglie non sono sufficienti a coprire i ritagli di  volti che spuntano qui e là. L’eclisse è parziale.

 

Opera ispirata da una poesia di Wallace Stevens

Le foglie non bastano a coprire la faccia
che indossa. Così s’espresse l’oratore: “La massa
è nulla. Il numero di uomini in una massa
d’uomini è nulla. La massa non è più grande
del singolo uomo della massa. Ogni massa
promulga il proprio paradigma.” Le foglie
non bastano a celare la faccia dell’uomo
di questa massa morta e di quella. Il vento si può
colmare di facce come di foglie, soffiare folate di bocche,
 e di bocche che piangono e piangono giorno dopo giorno.
 Potrebbero essere noi stessi, noi stessi risonanti,
le nostre facce che ruotano attorno a una faccia centrale e poi di nuovo novunque, via via lontano?
Eppure una faccia continua a tornare (mai quella),
la faccia di un uomo della massa, mai la faccia
che l’eremita su una lingua di sabbia avrebbe visto,
mai il politico nudo istruito
dal saggio. Le foglie non bastano a incoronare,
a coprire, incoronare, coprire – e dillo –
l’attore che alfine declamerà la nostra fine.

 

There are not leaves enough to cover the face
It wears. This is the way the orator spoke:
“The mass is nothing. The number of man in a mass
 Of men is nothing. The mass is no greater than
The singular man of the mass. Masses produce
 Each one its paradigm.” There are not leaves
 Enough to hide away the face of the man
Of this dead mass and that. The wind might fill
With faces as with leaves, be gusty with mouths,
 And with mouths crying and crying day by day.
 Could all these be ourselves, sounding ourselves,
 Our faces circling round a central face
And then nowhere again, away and away?
Yet one face keeps returning (never the one),
The face of the man of the mass, never the face
 That hermit on reef sable would have seen,
Never the naked politician taught
By the wise. There are not leaves enough to crown,
 To cover, to crown, to cover—let it go—
The actor that will at last declaim our end.

 

Il senso evidente delle cose 

 

 

2024, 197 x 197 cm, ritagli di carta tratti da riviste e libri dei secoli 19esimo e 20esimo

I ritagli di vegetazione rigogliosa e di frammenti di case decadenti digradando verso il centro  diventano più chiari  svelando  alberi senza foglie:  i rami spogli mostrano il senso evidente delle cose. 

The Plain Sense of Things

After the leaves have fallen, we return

To a plain sense of things. It is as if

We had come to an end of the imagination, Inanimate in an inert savoir.
It is difficult even to choose the adjective

For this blank cold, this sadness without cause.
The great structure has become a minor house.
No turban walks across the lessened floors.
The greenhouse never so badly needed paint.

The chimney is fifty years old and slants to one side. A fantastic effort has failed, a repetition

In a repetitiousness of men and flies.
Yet the absence of the imagination had

Itself to be imagined. The great pond,

The plain sense of it, without reflections, leaves, Mud, water like dirty glass, expressing silence
Of a sort, silence of a rat come out to see,

The great pond and its waste of the lilies, all this Has to be imagined as an inevitable knowledge, Required, as a necessity requires.

Il senso evidente delle cose

Dopo che le foglie sono cadute, torniamo al senso evidente delle cose. E’ come se fossimo giunti alla fine dell’immaginazione,
trapassata in inerte sapere.
E’ difficile persino trovare l’aggettivo


per questo freddo vuoto, questa tristezza senza ragione. La grande struttura è diventata una casa qualunque. Nessun turbante traversa i pavimenti invecchiati.
Mai così tanto la serra bisognò che fosse dipinta.

Il camino ha cinquant’anni e si curva di lato.

Un incomparabile sforzo ha fallito, una ripetizione
nel ripetuto ritorno di uomini e mosche.
L’assenza di immaginazione doveva tuttavia

essere immaginata. Il grande stagno,

il suo senso evidente, irriflesso, le foglie,

il fango, l’acqua come vetro sporco, emanano un silenzio, come il silenzio di un topo venuto a vedere,

il grande stagno e il suo spreco di gigli, tutto

si doveva immaginare, come una conoscenza inevitabile, richiesta, siccome necessità richiede.

DETTAGLI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

installation view: Mariateresa Sartori David Rickard. Aether/Etere. La presenza dell’assente, Galleria Michela Rizzo, Venezia, a cura di Riccardo Greco, 2024,

In primo piano: David Rickard’s Cosmic Field (3.7. MHz), dietro: le due opere sul tempo