Il tempo del suono. Onde 

carboncino su carta, 380 x 660 cm, 2019 Galleria Doppelgaenger, Bari 

Opera site specific, in basso  immagini del lavoro installato al Cairn Centre d’art, Digne-les-Bains, 2018, alla Fondazione Querini Stampalia, Venezia, 2019 e alla Galleria Dopplegaenger, Bari 2019. Foto: François-Xavier Emery,  Michele Alberto Sereni,  Beppe Gernone

Traduzione in forma visiva del suono delle onde del mare in tempo reale.  In spiaggia di fronte alle onde, seduta su di uno sgabellino portatile, premo sulla carta il carboncino in modo più o meno forte, più o meno a lungo, cercando la sincronia completa tra suono dell’onda e mano. Il susseguirsi di suoni sempre uguali e sempre diversi imprime il segno, passando attraverso la mano che diviene mero strumento, una sorta di sismografo che trascrive il tracciato sonoro. E’ un esercizio di attenzione e di ricerca di una (inarrivabile) oggettività meccanica.

 

 

Traduzione in forma visiva del suono delle onde del mare in tempo reale.  In spiaggia di fronte alle onde, seduta su di uno sgabellino portatile, premo sulla carta il carboncino in modo più o meno forte, più o meno a lungo, cercando la sincronia completa tra suono dell’onda e mano. Il susseguirsi di suoni sempre uguali e sempre diversi imprime il segno, passando attraverso la mano che diviene mero strumento, una sorta di sismografo che trascrive il tracciato sonoro. E’ un esercizio di attenzione e di ricerca di una (inarrivabile) oggettività meccanica.

Ciò che mi interessa è la tensione verso l’oggettivazione, il tendere verso, lo sforzo di svuotamento dal sé per arrivare ad essere cassa di risonanza. Non è l’oggettività raggiunta (se mai fosse possibile) che mi interessa quanto la tensione verso. Trattandosi di una trascrizione utilizzo semplici fogli rigati, tipici della notazione, che riempio uno dopo l’altro, a ritmo costante, onda dopo onda, suono dopo suono. Il principio della variazione (non esistono due suoni di onda uguali) diviene sempre più evidente grazie al crescere dei fogli. La dimensione dell’opera è variabile, adattabile al luogo, ma è indispensabile che sia sufficientemente grande per poter esprimere il principio dell’unicità dell’evento che si ripete sempre uguale sempre diverso. A questo proposito mi piace riportare un breve testo di Leibniz tratto da Nuovi Saggi sull’intelletto umano, scritto nei primi anni del Settecento.

Ora, per chiarire ancor meglio cosa intendo per piccole percezioni che non potremmo distinguere nel loro insieme, sono solito servirmi dell’esempio del mugghio o rumore del mare dal quale si è colpiti quando si è sulla spiaggia. Per udire questo rumore per come lo si ode, bisogna bene che se ne odano le parti che compongono il tutto, cioè il rumore di ciascuna onda, per quanto ciascuno di questi piccoli rumori non si faccia sentire che nell’insieme confuso di tutti gli altri, e che neppure si avvertirebbe se l’onda che lo producesse fosse sola: occorre infatti essere colpiti un poco dal movimento di quest’onda e che si abbia una qualche percezione di ciascuno di tali rumori, per piccoli che siano; altrimenti non si avrebbe quella di centomila onde, poiché centomila nulla non riescono a produrre alcunché”.

Dire il tempo. Mariateresa Sartori, testi critici di Chiara Bertola e Sergio Risaliti, ed. Gli Ori, 2019

Dire il tempo. Mariateresa Sartori