About mariateresa sartori

This author has not yet filled in any details.
So far mariateresa sartori has created 59 blog entries.

The decline of Italy. Dead Words

singer: Andrea Gavagnin

duration: 3’12”

2016

 

 

 

List of Italian words fallen into disuse, to the point of being incomprehensible sung on the air of Lacrimosa from Verdi’s Requiem 

      1. IL DECLINO DELL'ITALIA. Parole Morte Mariateresa Sartori

 

 

 

 

The decline of Italy on the National Radio,   Radio Rai tre, program  Stanze d’artista curated by Guido Barbieri

      2. RADIO-RAI-TRE-Sartori-.mp3

 

The decline of Italy. Dead Words2020-08-26T15:11:16+00:00

The Concert of the World. Sound Version

 

music: Stefano Codin

duration: 7’12”

2008

 

      1. il concerto del mondo solo audio 2

The concert of the world is the concert of the world’s languages: the intrinsic musicality of every language is underlined by the translation in music of that particular conversation, that is characterized by a certain language,  a certain  timbre of voice,  a certain rythmus. Relating to that every voice has its corresponding instrument.

 

The concert of the world was broadcast on the national  radio rai tre in the program  Stanze d’artista curated by  Guido Barbieri 30 minutes about Mariateresa Sartori’s sound works,  17 August 2017

      2. RADIO RAI TRE Sartori 3
The Concert of the World. Sound Version2020-08-26T12:06:36+00:00

Questions. Bald heads with their mother’s voice still in their ears.

Radio Version

soundwork, radio version, duration: 2’12”, 2016

 

Selection of questioning sentences pronounced by Ingrid Bergman dubbed by Lydia Simoneschi’s voice. The questions follow one another without interruption, crushed and compressed by a rhythm that does not allow pauses.

The subtitle “Bald heads with their mother’s voice still in their ears” is taken from the poem  “The woman that had more babies than that” by Wallace Stevens

      1. AAAADomande

 

(…) Are old men breathed on by a maternal voice,
Children and old men and philosophers,
Bald heads with their mother’s voice still in their ears.
The self is a cloister full of remembered sounds
And of sounds so far forgotten, like her voice,
That they return unrecognized. The self
Detects the sound of a voice that doubles its own,
In the images of desire, the forms that speak,
The ideas that come to it with a sense of speech.
The old men, the philosophers, are haunted by that
Maternal voice, the explanation at night.
They are more than parts of the universal machine.
Their need in solitude: that is the need,
The desire, for the fiery lullaby.

From:  The woman that had more Babies than that by Wallace Stevens

Questions. Bald heads with their mother’s voice still in their ears.2023-06-05T16:15:22+00:00

New Wind

 

NEW WIND

8 Channels spasialized Sound work

Duration: 3’ 32’’

2020/2024

Thanks to Giovanni Dinello and Gustavo Frigerio

 

 

      1. NUOVO VENTO 2024 non spazializzato SARTORI-

 

In this sound work, the voice of the wind merges with the voice of an a cappella choir (Chaikowsky’s Cherubim Hymn), to the point that it is difficult to distinguish the voice of the wind from the human voice.

 It is not by chance that I found myself working on this during the  period of confinement due to corona virus. I have worked with recorded sounds that resounded in my room; whistling, howling and wailing. The room expands and becomes the space that the wind’s voice produces. The wind is imbued with voices. If you listen carefully you will hear these voices. I think this work is the attempt to give a form to the chaos, to give a shape to a natural force on which we do not have any control. Are we part of all that? When we hear to this force do we hear the abyss that is outside or inside us? 

mail of the musicologist Guido Barbieri of the 20 March 2020

Cara Maria Teresa, che bello entrare di nuovo nella tua fabbrica dei suoni, e in quella delle idee… Tra le poche rimaste aperte, direi… Credo di capire quello che dici nello “sproloquio” (che non è affatto tale, ovviamente…): tutti noi siamo costretti a compiere più e più volte, in questa grande stasi di tutte le cose, il canonico “viaggio intorno alla nostra stanza” – come lo ha chiamato De Maistre (nessun libro è tornato ad essere così attuale come il suo…). Al massimo riusciamo ad aprire una finestra e ad allargare appena un po’ il nostro orizzonte, a seconda del paesaggio di cui possiamo disporre (il mio, per dire, in un stradina angusta del centro storico di Ravenna, è assai modesto: un segnale stradale, il muro giallo di una casa, il balcone fiorito di un palazzetto all’angolo). Ma di fatto i due universi, l’interno e l’esterno, non comunicano, non parlano, non battono allo stesso ritmo: le sue mura, la pelle della casa, sono troppo spesse, grezze, per far traspirare il corpo della nostra stanza… E tu invece sei riuscita, in appena tre minuti di suono, a trasformare effettivamente l’interno in un esterno e l’esterno in un interno, a rendere la pelle della casa talmente sottile che il vento si è fatto stanza e la stanza vento. In una perfetta reciprocità. Per un verso – come un Prospero urbano –  hai catturare il vento, lo hai imprigionato nel cubo, nel parallelepipedo del tuo habitat, e gli hai impresso inevitabilmente una “forma” (ma se questo torno tra un attimo). Per l’altro, è vero, hai trasformato la tua stanza in una valle, nella sommità di una collina, in un viale: le sue pareti si sono allargate fino a includere quel paesaggio che normalmente la stanza può solo guardare di lontano. E altrettanto inevitabilmente questa trasformazione alchemica ha mutato i parametri del tempo, o meglio le sue immagini. Perché il “viaggio all’interno di una stanza” un tempo non lo possiede o per lo meno è un tempo indefinito, circolare che ricade sempre su stesso. Il vento, invece un tempo ce l’ha e anche molto preciso: spira da est a ovest o da nord a sud, in un tempo perfettamente misurabile e determinato dalla sua velocità. Ma tu, concettualmente hai dato un tempo, quello del vento, al viaggio nella tua stanza, e per converso hai sottratto al vento la sua velocità oggettiva per attribuirgliene una puramente soggettiva. La tua. 
 
Ma al di al di queste considerazioni un po’ astratte, ma “autentiche” (vedi che cosa possono scatenare tre minuti di suono…) quello che mi ha colpito ascoltando il tuo Nuovo Vento  è appunto la forma “musicale” che hai impresso al suo corso. Forse inconsapevolmente, o forse no, questo tuo piccolo brano mi sembra perfettamente strutturato secondo i canoni della forma sonata (che poi è una forma universale del discorso, niente di più). Si percepisce nitidamente, nella Esposizione, un primo tema, determinato dal crescendo graduale del suono, e poi un secondo (a circa 43″) che invece è caratterizzato da un rapido crescendo/decrescendo, in una forma che ricorda quella dell’onda. Poco dopo inizia una sorta di Sviluppo (verso 1’30”) che combina tra loro i due tempi principali (comme il faut, del resto) seguito dall’inevitabile Ripresa variata del primo e del secondo tema (a 2’47”) e infine (a 3’14”) attacca la regolare Coda in lento decrescendo… E’ un architettura “solida” che però ovviamente non si sovrappone al suono, anzi lo racchiude, con discrezione, e gli assicura, come accade anche alle opere maggiori, di non soccombere all’evanescenza del tempo. Magari è una lettura un po’ forzata, ma dal momento che l’ho percepita spontaneamente, senza alcuna sovrapposizione artificiale, mi sembra che possa corrispondere, in qualche modo, al procedimento compositivo involontario (o forse no…) che hai seguito. Oppure che la tua memoria  – visto l’effetto Sonata di Vinteuil che produce in te la bocca del vento – ti ha dettato.
 
Mail of the musicologist Guido Barbieri of the 13rd November 2024
 
Cara Meri, si sa che gli artisti sono rabdomanti, che colgono con le antenne del pensiero ciò che gli altri mortali non sentono e non vedono. E questi tre minuti di epifania sonora ne sono, una volta di più, la dimostrazione… Il “tuo” vento che scorre dentro i rami del canto dei Cherubini è un vento nuovo, certo, ma anche, secondo me, sideralmente arcaico. Nella Liturgia ortodossa – come sai – l’Inno dei Cherubini corrisponde all’Offertorio della Liturgia Cristiana ed è il momento in cui i celebranti in corteo portano verso la Protesi (l’Altare) il corpo e il sangue di Cristo per ripetere il rito perenne del sacrificio: il pane sulla patena d’argento e il vino nel calice d’oro. Non è dunque il sacrificio, bensì l’Introito al sacrificio. E insomma un rito “di soglia”. E Cajkovskij, conoscitore profondo della liturgia ortodossa si muove con grande coerenza: fa intonare al coro una melopea lineare e scarna e la tratta secondo i procedimenti, tipicamente processionali, della omofonia e della omoritmia, rifuggendo ogni impropria glorificazione polifonica. Forse a te questo interessa poco, ma il tuo vento (veneziano? ortodosso?) compie esattamente lo stesso rito: è una forza arcaica e primordiale, possiede una voce sola, è inevitabilmente monodico, anche se affidato alla voce corale della natura. E procede, come il canto, solo per variazioni di dinamica, dal piano al forte, o meglio qui, dal mezzo piano al mezzo forte. E la tua intuizione di intarsiare il sibilo acuto alle voci acute e il soffio più grave e profondo ai bassi e ai baritoni  è rigorosa e commovente al tempo stesso. Ma ciò che ne risulta – al mio orecchio –  è la perfetta aderenza del vento alla forma del rito, come se esso celebrasse una sorta di introitus alla celebrazione “liturgica” della natura. Un sacrificio laico anche se forse imparentato col divino. Scusa, al solito, i pensieri disordinati e istintivi, ma è ciò che avevo voglia di dirti. Un abbraccio, come sempre ammirato. A presto, forse… Guido 

 
New Wind2024-11-28T20:05:14+00:00