Tutte le classi

la classe, installazione a parete, banchi e sedie di scuola usati,  350 x 600 x 100,  Careof, Milano 2004

la classe

 Nel corso degli anni  sono nate  alcune Classi, realizzate in modo diverso ma incentrate sul tema delle variazioni all’interno di un sistema, di come queste modifichino il sistema, lo influenzino, lo formino e di come il sistema  infine inglobi le variazioni al suo interno, annullandole.
 Nel corso degli anni  sono nate  alcune Classi, realizzate in modo diverso ma incentrate sul tema delle variazioni all’interno di un sistema, di come queste modifichino il sistema, lo influenzino, lo formino e di come il sistema  infine inglobi le variazioni al suo interno, annullandole. La disposizione dei banchi e delle sedie, tipica della classe scolastica,  segnala variazioni e differenze, rendendo ogni posizione unica e irripetibile all’interno del sistema.  Ogni sistema ha un suo ambiente che fornisce nutrimento (variazioni) al sistema. Il sistema seleziona e incamera le variazioni, ristabilendo sé stesso dopo aver assorbito le variazioni. Mi interessa molto la autoreferenzialità dei sistemi;  tutto quello che accade nei sistemi li fa essere ciò che sono, li fa autodescrivere.

Tipizzazione, termine usato da Alfred Schuetz per rilevare che quantunque noi viviamo il contatto personale alter-ego, tuttavia ciascuno di noi inquadra il soggetto e lo tipicizza, lo fissa in caratteristiche essenziali. Da: Antonio Saccà, Dizionario di sociologia, Roma, 1966.

Analisi della minor distanza.

Metodo che consiste nel misurare, in una determinata area e per tutti i punti che si è convenuto considera­re, le distanze in linea d’aria esi­stenti fra ogni punto e quello più vicino. La somma delle distanze osservate viene, poi, suddivisa per il numero di punti presi in conside­razione, ottenendo cosi la media delle minori distanze dell’area.

Poi si calcola la distanza media pre­vedibile teoricamente, che si ottiene dividendo la superficie dell’area per il numero degli oggetti considerati, estraendone la radice e dividendo il risultato per due. Infine si mettono in rapporto le medie delle due distanze (l’osservata e la teorica), ottenendo un indice; il valore del­l’indice varierà da zero (a cui corri­sponde la massima agglomerazione possibile) a 2,15 (a cui corrisponde invece una distribuzione perfetta ad esagoni, …). L’analisi della minor distanza, con l’impiego del suddetto indice, consente di ottenere misure esatte dei caratteri distributivi di insiemi di oggetti in un’area deter­minata, […].

 Fulvio Fulvi, Dizionario di geografia umana, Roma, 1997

 

Otto classi, Installazione site specific, 70 banchi e 70 sedie di scuola usati, Forte Massimiliano, Isola di S.Erasmo, Venezia, 2009

Otto classi, formate da banchi e sedie di scuola usati, collocati sopra le antiche  piattaforme fortificate su cui erano piazzati i cannoni del forte Massimiliano nell’isola di Sant’Erasmo, Venezia.

 

Otto classi, formate da banchi e sedie di scuola usati, collocati sopra le antiche  piattaforme fortificate su cui erano piazzati i cannoni del forte Massimiliano nell’isola di Sant’Erasmo, Venezia.

Assecondando la forma circolare delle fortificazioni i banchi e le sedie guardano verso l’interno, quasi attratte da una forza centripeta. E’ la dinamica dei rapporti all’interno della  classe, quella particolare tensione che si genera tra individui appartenenti a un gruppo, quella tensione che si ha tra le variazioni (gli individui) e il sistema (la classe). Mi interessano le variazioni all’interno di un sistema, di come queste modifichino il sistema, lo influenzino, lo formino e di come il sistema inglobi le variazioni al suo interno, in parte assecondandole, in parte annullandole. Da qui la posizione di banchi e sedie chiuse a semicerchio e tese  verso un punto centrale interno attorno cui sembrano gravitare, roteando come piccole isole- microcosmi nell’arcipelago di un sistema più grande che a sua volta le ingloba.

 

 

 

 

 classe 300 x 600 cm scotch da imballo su carta Milano 2005

 

 Dal dizionario:  classe  per estens. Gruppo di persone o di oggetti contraddistinti dall’avere un carattere o un gruppo di caratteri comuni. Tipizzazione, termine usato da Alfred Schuetz per rilevare che quantunque noi viviamo il contatto personale alter-ego, tuttavia ciascuno di noi inquadra il soggetto e lo tipicizza, lo fissa in caratteristiche essenziali. Da: Antonio Saccà, Dizionario di sociologia, Roma, 1966
 Dal dizionario:  classe  per estens. Gruppo di persone o di oggetti contraddistinti dall’avere un carattere o un gruppo di caratteri comuni. Tipizzazione, termine usato da Alfred Schuetz per rilevare che quantunque noi viviamo il contatto personale alter-ego, tuttavia ciascuno di noi inquadra il soggetto e lo tipicizza, lo fissa in caratteristiche essenziali. Da: Antonio Saccà, Dizionario di sociologia, Roma, 1966.   Ogni allievo della classe assume  un atteggiamento specifico, variabile all’infinito, ma pur sempre riconducibile ad un atteggiamento tipico  che lo fa essere quel che è, rendendolo riconoscibile. E’ dunque  un lavoro sulle variazioni all’interno del  sistema, di come queste modifichino il sistema, lo influenzino, lo formino e di come il sistema  infine inglobi le variazioni al suo interno, annullandole. Ogni sistema ha un suo ambiente che fornisce nutrimento (variazioni) al sistema. Il sistema seleziona e incamera le variazioni, ristabilendo sé stesso dopo aver assorbito le variazioni. Mi interessa l’ autoreferenzialità tipica del sistema classe:  tutto quello che accade nei sistemi li fa essere ciò che sono, li fa autodescrivere.
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La classe, Installazione a parete, banchi e sedie di scuola usati, 350 x 600 x 100, Palazzetto Tito, Bevilacqua La Masa, Venezia, 2005

E’ un lavoro sulle variazioni all’interno di un sistema, di come queste modifichino il sistema, lo influenzino, lo formino e di come il sistema  infine inglobi le variazioni al suo interno, annullandole. La disposizione dei banchi e delle sedie, tipica della classe,  segnala variazioni e differenze, rendendo ogni posizione unica e irripetibile all’interno del sistema.

 

SAPENDO INCONSAPEVOLMENTE

di Angela Vettese,  testo in occasione della mostra in Palazzetto Tito

 

Da anni, con calma e determinazione, Mariateresa Sartori conduce un lavoro che si centra tecnicamente sul video ma che non si arena all’interno di questo lessico. Il filo conduttore di opere anche molto diverse è anzitutto, ai miei occhi, la loro capacità di raccontare delle storie e di portarle a oscillare tra il microevento e un afflato epico. Peraltro la cifra stilistica dell’artista è una secchezza che non concede alla narrazione che i suoi tratti sintetici, anche quando essa si prolunghi nel tempo. Non c’è spazio per un sentimentalismo evidente, anche se questi documenti aprano voragini di emozioni – riso, attenzione, coinvolgimento, inmedesimazione e così via.

L’artista ha il merito di congiungere istanze morali con accenni alla ricerca scientifica e in generale con la conoscenza: il vero punto di svolta per la storia umana recente, ma soprattutto per quella futura ed in misura che stentiamo a immaginare.

Lo sforzo appare quello di fotografare gli uomini comuni, e attraverso di loro l’uomo nella sua generalità, mentre cercano di capire ciò che vivono: attraverso la scienza, attraverso il senso dell’orientamento, attraverso l’aggregazione in gruppi e i legami di gruppo più o meno forzati. La comprensione del mondo che riusciamo a raggiungere è peraltro forzatamente incompleta e destinata a comportarsi come un asintoto, una parabola che non può  giungere a toccare la linea verticale a cui  tende. Così capiamo senza capire, decidiamo senza avere gli elementi per farlo, agiamo sostanzialmente nel buio.  Ciò che è accaduto su scala filogenetica, alla specie, ovvero la sempre maggiore comprensione del mondo che ci attornia, accade anche su scala ontogenetica nello sviluppo del bambino; peraltro l’evoluzione del sapere comune così come l’educazione individuale sono i compiti più gravosi a cui l’umanità si sottopone, sapendo inconsapevolmente –  e si perdoni un inevitabile ossimoro, che è la medesima chiave del lavoro di Mariateresa Sartori – che questo è l’unico mezzo di difesa. Come gruppi e come individui, nei differenti momenti della storia e nei luoghi della geografia più disparati, impariamo a imparare in modo volenteroso, impegnato, accanito e per questo commovente. Citare nelle maniere più diverse la continua tensione a superare un limite invalicabile è ciò che, in questo lavoro, rende conto dell’eroica grandezza di un’umanità piccola e incerta.

Angela Vettese

 

La classe, installazione a parete,  40 x 30 x 7 cm,  das, cartone, legno , 2000

Classe

 Tipizzazione, termine usato da Alfred Schuetz per rilevare che quantunque noi viviamo il contatto personale alter-ego, tuttavia ciascuno di noi inquadra il soggetto e lo tipicizza, lo fissa in caratteristiche essenziali. Da: Antonio Saccà, Dizionario di sociologia, Roma, 1966.

 

 

Tutte le classi2013-05-15T21:24:18+00:00

Sistemi complessi

5’ 44’’,  colori,  sonoro ,  2006-2009

 

Questo video è nato grazie all’incontro con il fisico teorico Bruno Giorgini e i ricercatori del  Laboratorio di Fisica della Città dell’Università di Bologna, www.fisicadellacitta.it, che hanno messo a mia disposizione, a esclusivi fini di ricerca artistica,  i filmati della folla ripresa dall’alto durante il carnevale di Venezia e le simulazioni virtuali della dinamica dello spostamento delle persone, che si basano  su  un nuovo modello fisico-matematico formulato dagli stessi ricercatori.

 

 

Sistemi complessi2020-07-28T17:49:32+00:00

Tutte le pause del mondo

9’30’’ , colori,  sonoro , 2006

undici coppie di parlanti undici lingue diverse ripresi durante una conversazione spontanea che, come tutte le conversazioni,  presenta frazioni di silenzio, di pausa.

 

Ciò che appare privo di significato, come i momenti di silenzio in una normale conversazione tra persone, in realtà porta con sé moltissime informazioni semantiche.  Nel momento in cui si dà, la pausa diventa soggetto  con una propria forte identità e valenza: lo spazio tra le persone cambia, l’aria si tende,  si carica di attesa, oppure diventa rarefatta, o ancora  la luce si stempera. Il mio è il tentativo di mettere a fuoco il “tra”, quello che sta in mezzo e che pare trascurabile. Nella ridistribuzione dei pesi, il vuoto assume il rilievo dovuto, mentre il pieno conquista una diversa leggibilità: la lingua viene percepita in quanto superficie nella sua stupefacente arbitrarietà, un pieno che si dà nella relazione con il vuoto.  Con Samuel Beckett: “Quanti silenzi di tre secondi per fare un silenzio totale di 24 ore?”

Anche in questo caso, come in altri lavori, ho utilizzato un espediente per preservare naturalezza e spontaneità delle persone riprese.

 

Mariateresa Sartori, Tutte le pause del mondo, Galleria Michela Rizzo, Venezia, 14 luglio – 9 settembre 2006

Tutte Le pause (e i contatti) del mondo

Riccardo Caldura

 

L’atmosfera, il tono di quest’ultimo video, come di altri di Mariateresa Sartori, ha qualcosa di analitico che di primo acchito può disorientare.

Il video è scandito in modo lineare e coerente come se si trattasse della messa insieme di materiali a carattere documentativo. Non vi è alcuna particolare indulgenza nell’ uso del mezzo, nel senso che è non vi si tro­vano manierismi, tecnicismi, né una autoriflessione sulla natura del mezzo stesso. Il video è appunto un mezzo e, come tale, tende a ‘scom­parire’ nell’utilizzo che ne fa l’autrice. È uno strumento efficace, serve allo scopo, in modo funzionale. E lo scopo è dar forma e comunicazio­ne, la meno retorica possibile, a ciò che viene osservato nel campo della vita’ (ricorro a questa espressione in analogia con una definizione di un dipinto in Jasper Johns: Field Paiting, 1963-64). Ciò che agisce nel ‘campo della vita’ è dato dall’interazione affettiva, emozionale. Il video diventa così una sonda che osserva dall’‘interno’ una situazione emozio­nale e la documenta. Dall’interno: intendendo che il campo di osserva­zione privilegiato ha a che fare con la vita e anche con la biografia del­l’autrice, ma in maniera tale che sarebbe inutile pretendere di ritrovar­vi elementi meramente soggettivi, personali. Il ‘biografico è materiale trattato analiticamente: la voce del figlio che impara a leggere alla fine del video «Visto da qui. Progetto lettura ostacolata»; la silhouette del padre, e di se stessa, nelle tele di anni addietro, particolari della propria abitazione, come set di Tutte le pause del mondo o qualche famigliare che compare fra gli altri protagonisti del medesimo video. Il primo passo forse è stato proprio questo: osservare in maniera ‘spersonalizzata’ quel che vi è di personale, assumendo una distanza, quella permessa dallo strumento, negli ultimi anni soprattutto la videocamera, come se lo strumento permettesse di detergere lo sguardo dalla opacità del coin­volgimento soggettivo. L’esito di questa presa di distanza non è in alcun modo da confondere con la freddezza o con 1 indifferenza. Lo sguardo analitico credo tocchi piuttosto il piano della pietas, che non è da inten­dere come il ‘risvolto’ positivo di contro al dissezionamento, così fre­quentato artisticamente, della sfera affettiva e del contatto intrapersona­le. La pietas è piuttosto il riconoscimento della condizione umana, lo sfondo che appare essendosi applicati a quel particolare campo di osser­vazione costituito primariamente dalla propria e altrui vita. La pietas mi sembra essere l’esito di una posizione limpidamente laica che viene vis­suta, e dunque restituita sul piano formale, come una intima assunzione di responsabilità verso gli altri, essendo il cerchio degli ‘altri’ ormai non più riferibile ad un Altro. E gli altri sono da intendere non solo come i ‘propri’ — coloro che appartengono alla sfera esistenziale e affettiva per­sonale – ma come ‘tutti’ gli altri. ‘Tutti gli altri’ entrano nell’ultimo video, si siedono sul divano nella abitazione dell’autrice, di fronte alla sua videocamera; si siedono sempre in coppia, perché è la relazione e l’interazione che interessa all’autrice; ‘tutti gli altri’ si sondano recipro­camente per cercare una possibile risposta comune alle domande for­mulate in un questionario. Il questionario, predisposto nelle diverse lin­gue corrispondenti ai paesi di provenienza degli intervistati, non mira a sondare alcunché di particolarmente rilevante dal punto di vista statisti­co; di fatto è una richiesta di informazioni che non ha come scopo pre­cipuo il raccogliere informazioni. E’ una sorta di sondaggio di opinio­ne che mira piuttosto a scrutare ‘il modo’ di esprimersi dell’opinione stessa, cioè le incertezze, o le sicurezze, di fronte ad una richiesta inu­suale, la cui risposta non ammette sfumature, prevedendo solo le opzio­ni vero/falso. Come ci si accorderà per rispondere a «Entrando in casa di amici è antiquato dire ‘permesso’?». Se eventualmente ci si potrà accordare, o se invece non si dissentirà l’un dall’altro. E come si espri­meranno l’assenso, il dissenso, la perplessità? E vi sono differenze da rile­vare qualora gli ‘tutti gli altri’ chiamati davanti alla videocamera, siano di cultura medio-orientale piuttosto che nord-europea, oppure giappo­nesi piuttosto che americani? La procedura per predisporre il dialogo di volta in volta fra due persone delle più diverse provenienze è basata su una identica sequenza di domande, tradotte nelle varie lingue. Procedura che sembra avere le caratteristiche di un test di comprensio­ne linguistica, oppure di un’indagine sociologica sulle differenze di espressione nelle varie culture: una sorta di indagine su quella sfera extraverbale costituita dallo strato dei gesti, degli sguardi, o dei silenzi prima di una risposta. In questo senso non è certo casuale che il mezzo scelto dall’autrice sia il video, cioè sia una forma visiva, e non sia invece il predisposto questionario, che nello svolgersi dell’azione viene ripreso di rado, così che non è facile inizialmente capire cosa susciti il dialogo fra le persone. Non è il linguaggio l’oggetto principale dell’a­nalisi dell’autrice, ma l’extraverbale, il gesto, il heve sfiorarsi delle mani lo scambio degli sguardi. Cioè l’autrice colloca su un piano diverso dà quello della lingua la questione, centrale per il logos e per il sapere, del vero/falso. Si preoccupa di restituire, visivamente, lo strato della com­plessità che si mostra quando due persone cercano un accordo, interro­gan osi 1 un l’altro. Dunque, considerando il complessivo approccio analitico siamo probabilmente di fronte ad un repertorio in fieri dei modi non verbali, che sostanziano la comunicazione intrapersonale.

na sorta di atlante del comportamento in una situazione data, a cer­care delle costanti, che, nello specifico, rivelino, al di là delle diverse lin­gue, uno strato più profondo della condizione umana. E della condizio­ne umana colta in quel momento nel quale due persone cercano una possibile risposta comune.

Ciò che ha attirato l’attenzione dell’artista – la pausa della conversazio­ne, che e divisione e ponte, interrogazione e ricerca, sospensione fra il proseguire della linea conversativa o sua deviazione – evidenzia bene quale sia il punto di contatto fra le modalità della comunicazione intra­personale, il taglio documentaristico-analitico e l’ambito di ricerca nel quale si colloca Mariateresa Sartori: quello artistico.

Quel che compete all’artistico, nel novero delle discipline e delle prati- c e odierne, e costituito paradossalmente dal suo non risolversi in una specificità Cioè quel che intendiamo con pratica artistica è una pratica concetta e e produttiva dalla difficile definizione. Una pratica nella qua e si può ricorrere, come nel caso della Sartori, ad approcci analitici risolvendoli però in una ‘forma’ di comunicazione (non saprei descri­vere altrimenti il materiale proposto) così che quella condizione umana che le varie discipline analiticamente segmentano, possa essere restitui­ta alla sua generalità. Condizione umana data dal non sapere e dal cer­care una reciprocità: questo sembra evidenziare la sua osservazione del campo della vita’. Credo che la pausa in cui due persone precipitano per un momento quando si interrogano senza sapere se l’esito sarà assenso o dissenso, abbia molto a che fare con la questione della forma, e dunque dell’artistico. Il contatore, strumento così ‘scientifico’ e asetti­co, che compare nel video della Sartori misurando il tempo di durata del silenzio nella conversazione, è accompagnato dalla evidenziazione dei profili delle due persone che stavano parlando. Ciò che viene così in primo piano è il conteggio del silenzio, e simultaneamente la ‘forma’ che questo assume tradotto nella ripresa ravvicinata dei volti.

Questa mattina ho reinserito nel lettore dvd lo stesso video, lo guardo ancora una volta. E semplice e diretto: la sequenza dei colloqui si apre con un’immagine grafica del suono vocale, con il contatore che scorre, poi seguono i dialoghi, e l’evidenziazione della durata delle pause è sot­tolineata dal sovrapporsi del contatore elettronico. In realtà ci si accor­ge osservando con più attenzione che il tempo viene misurato in modo preciso quanto approssimativo: l’oggettività della misurazione si flette assecondando la particolare condizione del rapporto fra le persone, si flette alla particolare circostanza del loro reciproco relarsi: la misura della pausa può così dilatarsi, e la somma finale, (ammesso vi sia una somma finale), è data dalla misurazione non solo oggettiva, ma anche qualitati­va delle diverse pause. Perché non vi è una standardizzazione possibile del ‘vivere’ la pausa: si guarda l’altro, si guarda altrove, si guarda il foglio, ma come se non lo si vedesse. E la misurazione di questo momento perde di ‘oggettività’. Il tempo si misura, si dilata, si flette quando non c’è azione; in un passo tratto da un testo particolarmente significativo per l’autrice, ci si immagina che le pause e i silenzi, sommandosi, riem­piano l’intero arco del giorno. L’insieme delle ventiquattro ore costitui­rebbe una grande pausa nella quale non vi sarebbe più azione. Il dila­tarsi del tempo, la sua sospensione, evidenziata formalmente nel video dal vuoto fra i volti, è il venir meno dell’azione. In questo senso un giorno fatto di sole sospensioni rappresenta un’immagine molto effica­ce di quello stili frante che a suo tempo fu, per la pittura, la natura morta. Immagine delle cose, cristallizzata in un luogo/momento dove niente più accade, dove non vi è azione. Il video della Sartori si apre con il conteggio numerico della durata delle pause, pause dell’agire e del con­versare, però non si conclude così. E considerando la fine del filmato, verrebbe da proporre all’autrice una variazione del titolo, non più solo tutte le pause del mondo, ma anche tutti i contatti del mondo. Perché la pausa, come rivelano le sequenze finali del suo lavoro, lascia accadere il con­tatto; la pausa è sì cesura ma è anche ponte; amplifica lo spazio fra le persone, ne dilata per un momento la distanza, le rende vicinissime ed estranee lungo il sentiero di un risposta da cercare, ma alla fine è in quello spazio sospeso e dilatato che avviene il contatto, che la mano sfiora colui o colei che ha accanto. E il video registra, in una condizio­ne simil-sperimentale, la fenomenologia della relazione fra le persone. Relazione di reciprocità, il contatto è avvenuto, la sospensione non ha solo annullato per un momento il rapporto fra le persone, l’ha nuova­mente reso possibile. Le immagini di un Lui e di una Lei, che caratte­rizzavano la ricerca pittorica della Sartori negli anni ’90, ritrovano, nel video (mezzo che sottolinea l’intima coerenza della sua opzione media­le degli ultimi anni) quel contatto che – di un lui e di una lei, e di tutti gli altri — ‘anima’ la reciprocità.

Entrando in casa di amici è antiquato dire «permesso»?

Venezia, giugno 2006

 

Tutte le pause del mondo2020-07-28T17:13:58+00:00

Visto da qui. Progetto lettura ostacolata

8′ 50”, colori, sonoro, 2004

 

Ho messo a punto alcuni “esercizi” che mirano a rendere difficile ma non impossibile la lettura di un testo, tramite speciali marchingegni  appositamente studiati.  Nel riprendere le varie situazioni, si è fatta particolare attenzione ai singoli modi di reagire degli individui e alle dinamiche relazionali tra le persone.  La lettura che ne risulta tradisce nel tono e nell’accento la difficoltà a comprendere anche  il senso della frase.

Ho messo a punto alcuni “esercizi” che mirano a rendere difficile ma non impossibile la lettura di un testo, tramite speciali marchingegni  appositamente studiati.  Nel riprendere le varie situazioni, si è fatta particolare attenzione ai singoli modi di reagire degli individui e alle dinamiche relazionali tra le persone.  La lettura che ne risulta tradisce nel tono e nell’accento la difficoltà a comprendere anche  il senso della frase. Per comprensione intendo non solo l’aspetto razionalistico, ma anche quello emotivo, nel senso di far propria, di con-prendere la realtà. Tutti noi ci sforziamo di comprendere la realtà  e questo sforzo ci porta  evidentemente ad una effettiva maggiore comprensione, che è tuttavia pur sempre  relativa, perché  siamo “sempre in assenza di argomenti assolutamente determinanti” e perché  “qualsiasi conoscenza del reale è una conoscenza incompleta”. L’umano sforzo della comprensione della realtà ha inizio con la nascita e ci accomuna tutti. Ecco quindi la voce finale di bimbo in cui si percepisce tutto lo sforzo volenteroso e commovente di comprendere il testo che gli è dato leggere.  La lettura stentata, l’unica umanamente possibile,  è anche generatrice di  interpretazioni possibili.

 

SAPENDO INCONSAPEVOLMENTE

di Angela Vettese

 

Da anni, con calma e determinazione, Mariateresa Sartori conduce un lavoro che si centra tecnicamente sul video ma che non si arena all’interno di questo lessico. Il filo conduttore di opere anche molto diverse è anzitutto, ai miei occhi, la loro capacità di raccontare delle storie e di portarle a oscillare tra il microevento e un afflato epico. Peraltro la cifra stilistica dell’artista è una secchezza che non concede alla narrazione che i suoi tratti sintetici, anche quando essa si prolunghi nel tempo. Non c’è spazio per un sentimentalismo evidente, anche se questi documenti aprano voragini di emozioni – riso, attenzione, coinvolgimento, inmedesimazione e così via.

L’artista ha il merito di congiungere istanze morali con accenni alla ricerca scientifica e in generale con la conoscenza: il vero punto di svolta per la storia umana recente, ma soprattutto per quella futura ed in misura che stentiamo a immaginare.

Lo sforzo appare quello di fotografare gli uomini comuni, e attraverso di loro l’uomo nella sua generalità, mentre cercano di capire ciò che vivono: attraverso la scienza, attraverso il senso dell’orientamento, attraverso l’aggregazione in gruppi e i legami di gruppo più o meno forzati. La comprensione del mondo che riusciamo a raggiungere è peraltro forzatamente incompleta e destinata a comportarsi come un asintoto, una parabola che non può  giungere a toccare la linea verticale a cui  tende. Così capiamo senza capire, decidiamo senza avere gli elementi per farlo, agiamo sostanzialmente nel buio.  Ciò che è accaduto su scala filogenetica, alla specie, ovvero la sempre maggiore comprensione del mondo che ci attornia, accade anche su scala ontogenetica nello sviluppo del bambino; peraltro l’evoluzione del sapere comune così come l’educazione individuale sono i compiti più gravosi a cui l’umanità si sottopone, sapendo inconsapevolmente –  e si perdoni un inevitabile ossimoro, che è la medesima chiave del lavoro di Mariateresa Sartori – che questo è l’unico mezzo di difesa. Come gruppi e come individui, nei differenti momenti della storia e nei luoghi della geografia più disparati, impariamo a imparare in modo volenteroso, impegnato, accanito e per questo commovente. Citare nelle maniere più diverse la continua tensione a superare un limite invalicabile è ciò che, in questo lavoro, rende conto dell’eroica grandezza di un’umanità piccola e incerta.

Angela Vettese

Visto da qui. Progetto lettura ostacolata2020-07-28T17:54:42+00:00

Il principio idraulico o di costanza

6‘50“ ,colors,  sound,  2003

 

 

Il principio idraulico  si riferisce in psicanalisi  alla teoria della libido, per la quale Freud  fa uso di una terminologia vistosamente legata ai liquidi: si parla di deflusso, scarica, serbatoio, canalizzazione ecc. Mentre la voce narrante  racconta in tono didattico ciò che accade a livello psichico, le immagini scorrono su esperimenti scientifici relativi ai liquidi ripresi in laboratori di fisica e di chimica

Il principio idraulico  si riferisce in psicanalisi  alla teoria della libido, per la quale Freud  fa uso di una terminologia vistosamente legata ai liquidi: si parla di deflusso, scarica, serbatoio, canalizzazione ecc. Mentre la voce narrante  racconta in tono didattico ciò che accade a livello psichico, le immagini scorrono su esperimenti scientifici relativi ai liquidi ripresi in laboratori di fisica e di chimica. Grafici  schematici, immagini di provette, pistoni ad acqua, bilance,  vasi comunicanti vanno ad illustrare paradossalmente ciò che accade nell‘apparato psichico, per sua natura irrapresentabile. Ciò che mi interessa è l‘inclinazione umana a comprendere i fenomeni, anche i più complessi, tramite la rappresentazione schematica, attraverso una generalizzazione che porti alla individuazione di principi organizzatori. Questa inclinazione  ci caratterizza e ci fonda in quanto esseri umani : è il modo del pensiero.

In qualsiasi campo dello scibile il modo di procedere sarà necessariamente lo stesso: rintracciare costanti in un mondo (grazie al cielo) per molti versi prevedibile.. La comprensione della realtà passa attraverso la rappresentazione, di cui lo schema, nel senso della rappresentazione grafica, è l‘essenza. Cito Oliver Sacks, che da bambino resta folgorato dalla tabella di Mendeleev: „La tavola periodica era incredibilmente bella, la cosa più bella che io avessi mai visto. Non potrei mai analizzare adeguatamente che cosa intendessi, qui, per bellezza: semplicità? coerenza? ritmo? inevitabilità?“.

Testo di Margherita Gigliotti sul Principio idraulico o di costanza

 

Il finale, nel video di Mariateresa Sartori Il principio idraulico o di costanza, è liberatorio. Tutti i finali in un certo senso lo sono. Anche quelli più scioccanti o spiazzanti, o soltanto frettolosi, sommari, mettono la parola fine a un dilemma. Alla complessità del reale o meglio a quanto se ne ha da dire.

La parola fine in Sartori è una parola miracolosamente aperta, dopo tutto quello che è stato detto, sperimentato e assemblato nel video fino a un attimo prima, talmente aperta da presentarsi come eterno ritorno, estatico e pur tuttavia misurato inno all’umano ragionare e alla sua capacità di resistere ai suoi stessi limiti. Una voce femminile, un canto lirico-ornamentale di origine antica, si eleva al di sopra delle parole, si incanta e ci incanta interrompendosi e ripetendosi fino a trasformarsi in universale meditazione, in liturgia della non-rassegnazione. Come un planctus consolatorio, raccoglie e orienta ciò che contemporaneamente vediamo sullo schermo e che a sua volta è un quadro orientato: l’interpretazione grafica, a tratti animata, di modelli esplicativi scientifici, reperti di opere di consultazione informatizzata.

Sinesteticamente sentiamo, così, oltre che vederlo, il palpitare di cellule che al microscopio rivelano la loro segreta attività, la fremente attesa tra un venirsi incontro e un riallontanarsi; l’innalzarsi infaticabile di curve di livello, stilizzati Mose dell’anima insistentemente eppure rispettosamente sostenuti da frecce, indicatori, segni chiarificatori. Tutti insieme a ribadire che l’umano sapere, che di quell’attesa e di quella fatica si fa carico, non può fare a meno di progredire nonostantel’imperfezione dei suoi stessi strumenti: segni, concetti o modelli che siano.

Qual è l’argomento di questa antropologia artistica? Ce lo dice la prima parte del video, quella in cui le parole hanno il loro peso. Il peso specifico della teoria psicoanalitica freudiana, secondo la quale le leggi che governano le pulsioni sarebbero da intendersi, con esplicito riferimento al modello della fisica idraulica, in termini di meccanica e di economia; ovvero di mantenimento e compensazione, di “costanza” appunto, delle energie psichiche investite.

Mentre sentiamo parole lette con voce pacata che descrivono leggi, astrazioni, tentativi di avvicinamento alla realtà (una realtà interiore, ma non per questo meno degna di precisione), assistiamo ad altrettanto pacate azioni compiute da affidabili mani su alambicchi e campane di vetro, in travasi ed esperimenti di un  laboratorio di fisica in cui si respira aria d’altri tempi, intorno al tema dell’idraulica. Altrettanto tranquillamente si propagano e poi scompaiono davanti ai nostri occhi onde ad anello e riverberi cromatici ottenuti in pochi sperimentali centimetri d’acqua, o si incagliano barchette, o si prosciugano, con la levità di una vecchia pellicola, territori circoscritti in satellitari mappe geografiche. Tutto, anche i particolari dei grafici e le sequenze di cellule in fermento che riappariranno nella parte finale del video, è cadenzato secondo il dettato dei principi esposti, con imperturbabile calma.

Ciò che non dà requie, invece, è la nostra mente, senza concessioni spinta dall’artista a cercare di volta in volta – con una ciclicità che prefigura quella del finale – il nesso fra quanto si sente e quanto si vede, fra la teoria e la dimostrazione pratica, fra le parole e una loro esemplificativa messa in scena davanti a un obiettivo-osservatorio. Sartori sa della varietà infinita di associazioni possibili e sa anche del lavorìo della mente che non può fare a meno di interrogarsi sul perché di tali associazioni, fra concetti e oggetti, fra l’universale e l’individuale; e che non può rinunciare a cercare, senza sosta, la spiegazione di ciò che è già di per sé spiegazione, in uno specchio infinito di rifrazioni che corrisponde allo scavo della conoscenza.

E’ da questo scavo che con indulgenza ci libera, come in una pausa di riflessione, fra la prima parte e il finale del video, un arcano traghettatore di sentimenti, di energie segrete e di speranza, nonostante l’ignoto che resta da attraversare. Nelle immagini sfuocate in bianco e nero intuiamo, in uno scorcio verosimilmente lagunare su un angolo di città allagato, la sagoma di un bambino colto nell’atto di guadare l’acqua protetto da stivali e incerata. Dimentico di sé stesso, come di chi sia preso dal gioco, non teme la realtà che lo circonda e anzi, nell’acqua alta dell’interiorità verso la quale lo zoom dell’artista ci richiama, assume altre sembianze: di piccolo uomo di mare, distolto dal suo lavoro e dalla vera, terribile forza degli elementi o, anche, di piccolo sfollato alle prese con il passatempo che un cataclisma gli ha riservato.

A questa figura bifronte, ermetica, di innocenza e di sofferenza insieme, Sartori affida il compito di guidarci verso una pacificazione interiore: dove le tumultuose acque delle passioni e quelle altrettanto movimentate della scienza, nel ritmo vibrante di forme e di suoni, si placano.

 Margherita Gigliotti

How to Picture Living Systems, KLI, An Institute for Advanced Study of Natural Complex Systems, Klosterneuburg, Austria, curator Petra Maitz
Il principio idraulico o di costanza2020-07-28T17:47:15+00:00

Il concerto del mondo

7’ , b/n,  sonoro,  musica di Stefano Codin,  2008

 

Il concerto del mondo è il concerto delle lingue del mondo, la cui intrinseca  musicalità viene  sottolineata dalla traduzione in note dell’andamento della conversazione spontanea tra persone di diversa nazionalità. A seconda della lingua parlata,  del timbro della voce, e del tipo di conversazione è stato scelto uno strumento musicale diverso.

Su Radio Rai Tre per Stanze d’artista a cura di Guido Barbieri 30 minuti sui lavori sonori di Mariateresa Sartori, 17 agosto 2017

      1. RADIO RAI TRE Sartori 3

 

 

Il concerto del mondo2020-08-26T11:52:45+00:00