Qwerty o così va il mondo

un omaggio a Stephen Jay Gould, 1’  50’’ , b/n,  sonoro,  2008

 

 Il sistema Qwerty è quella particolare disposizione delle lettere tuttora in uso sulla tastiera del nostro computer. Tale sistema è tutt’altro che ottimale e nonostante siano state introdotte nel mercato tastiere nettamente superiori per efficienza e praticità , la Qwerty ha avuto il sopravvento.  La Qwerty diventa per Gould metafora dell’andamento del mondo, sia in campo biologico che storico. La storia della vita dipende in modo cruciale da molteplici fattori contingenti che avviano il futuro in canali che nel corso del tempo si approfondiscono, rendendo più improbabile il cambiamento, e rendendo invece possibile il dominio di una tecnologia (la Qwerty) poco efficiente.

 

 

Stephen Jay Gould, uno dei più grandi teorici dell’evoluzionismo, partendo come sempre da un dettaglio, in quest caso tratto dalla tecnologia e non dalla biologia, giunge a considerazioni più generali su come va il mondo.  Il sistema Qwerty è quella particolare disposizione delle lettere tuttora in uso sulla tastiera del nostro computer. Tale sistema è tutt’altro che ottimale e nonostante siano state introdotte nel mercato tastiere nettamente superiori per efficienza e praticità , la Qwerty ha avuto il sopravvento.  La Qwerty diventa per Gould metafora dell’andamento del mondo, sia in campo biologico che storico. La storia della vita dipende in modo cruciale da molteplici fattori contingenti che avviano il futuro in canali che nel corso del tempo si approfondiscono, rendendo più improbabile il cambiamento, e rendendo invece possibile il dominio di una tecnologia (la Qwerty) poco efficiente.

Il video consiste  nell’associazione di frasi tratte dal testo di Gould che compaiono come se fossero scritte a macchina, con filmati di sportivi, vittoriosi o perdenti, colti nel momento del loro massimo sforzo. La loro prestazione è solo una delle componenti che li porterà alla vittoria o alla sconfitta, altri fattori, su cui non si può esercitare alcun controllo, contribuiranno a determinare il loro destino, sbattuti al di qua o al di là della linea del discrimine.

Qwerty o così va il mondo2020-07-28T17:47:56+00:00

Quelli che vanno quelli che restano

 3’ 46’’ b/n  Venezia 2009

 

Ho ripreso le persone che si imbarcano sui battelli a Venezia nelle ore di punta nelle domeniche di luglio e agosto. Il traffico umano è regolato dal marinaio che apre e chiude la catenella di accesso, se necessario bloccando il flusso.

Ho ripreso le persone che si imbarcano sui battelli a Venezia nelle ore di punta nelle domeniche di luglio e agosto. Il traffico umano è regolato dal marinaio che apre e chiude la catenella di accesso, se necessario bloccando il flusso.  Per non intaccare la spontaneità di azione e reazione delle persone ho fatto in modo che non si capisse che la videocamera era in funzione.

Modi, movimenti, espressioni, distinguono chi va da chi resta. Osservare un microfenomeno, come è  l’imbarcarsi sui battelli veneziani, riportandolo ad una dimensione più universale e in qualche modo astorica, riconducendo il caso specifico a più ampie generalizzazioni.

 

 

 

Quelli che vanno quelli che restano2020-07-28T14:20:18+00:00

Tutti quelli che vanno

Ciclo di disegni :  Tutti quelli che vanno, Venezia, Milano, Marsiglia 2009-2019

Tutti quelli che vanno, Piazza San Marco, Venezia, per 3 minuti e 5 secondi, 2019

penna a pigmento di inchiostro, 250 x 225 cm, 2019, 

installation view mostra Dire il tempo. Roman Opalka Mariateresa Sartori, Fondazione Querini Stampalia, Venezia 2019 

 

Tutti quelli che vanno, Piazza San Marco, Venezia, per 3 minuti e 5 secondi,

dettaglio, 2019

 

Tutti quelli che vanno, Piazzetta San Marco, Venezia, per 1 minuto e 7 secondi,

2019, penna a pigmento di inchiostro su carta, 245 x 211 cm, Fondazione Querini Stampalia

 

installation view Dire il tempo. Roman Opalka Mariateresa Sartori a cura di Chiara Bertola

Fondazione Querini Stampalia, Venezia, 2019 

foto Michele Alberto Sereni

 

Tutti quelli che vanno,  2020, Installation View, Galleria Michela Rizzo, Venezia,

foto Francesco Allegretto

 

 

LASCIO QUESTE TRACCE 

Performance di  Gustavo Frigerio

con  Gustavo Frigerio e  Mariateresa Sartori, 10/11 luglio 2020,

Galleria Michela Rizzo, Venezia, Festival Assembramenti.

 

Questa performance nasce dall’osservazione dei miei due grandi disegni della serie Tutti quelli che vanno, in cui le linee riproducono i movimenti delle persone in Piazza San Marco a venezia il 26 febbraio 2006 durante un preciso lasso di tempo (pochi minuti). Gustavo Frigerio assume in sé queste configurazioni, diventando linea, traiettoria, figura, muovendosi all’interno di uno foglio bianco  che ha le stesse dimensioni dei disegni alle pareti. 

 

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Lascio queste tracce I Leave these traces. Link to the video 

Lascio queste tracce, testo critico di Cecilia Bima

 

 

Ho avuto la fortuna di incontrare Bruno Giorgini e i ricercatori (Armando Bazzani,Sandro Rambaldi, Francesco Zanlugo) del Laboratorio di Fisica della Città  dell’Università di Bologna, www.fisicadellacittà.it ,  che hanno messo a mia disposizione per fini di ricerca artistica le riprese fatte sulla folla di Piazza San Marco durante il carnevale con i relativi modelli di simulazione dei movimenti dei pedoni, realizzati sulla base di un nuovo modello fisico-matematico formulato dagli stessi ricercatori.
Ho avuto la fortuna di incontrare Bruno Giorgini e i ricercatori del Laboratorio di Fisica della Città  dell’Università di Bologna che hanno messo a mia disposizione le riprese fatte dall’alto sulla folla di Piazza San Marco durante il carnevale con i relativi modelli di simulazione dei movimenti dei pedoni, realizzati sulla base di un nuovo modello fisico-matematico formulato dagli stessi ricercatori.
Partendo dai loro filmati ho realizzato dei disegni seguendo un procedimento rudimentale: ho seguito il movimento di ciascun pedone per il lasso di tempo che viene specificato nel titolo tracciandone il percorso con il pennarello su un foglio trasparente  appoggiato sul monitor del computer. Poi ho riportato fedelmente il risultato su grandi e semplici fogli di carta bianca. Le linee tracciate con le loro diverse direzioni creano lo spazio, disegnando piazza San Marco, che di fatto non c’è. Spazio e tempo emergono grazie al movimento dell’umanità. Nel disegno di Piazzetta San Marco sono stati registrati anche i movimenti al suolo dei piccioni il cui addensarsi, lì dove c’è il cibo, crea configurazioni nebulose.
La modalità di realizzazione rende i tracciati imprecisi e quindi inutili da un punto di vista scientifico. Eppure si tratta di un’imprecisione non così approssimativa, nel senso che i movimenti vengono registrati abbastanza fedelmente, ovvero quanto lo permette l’umana percezione.
Mi interessano molto le modalità della percezione, così imperfette, ma sufficientemente perfette, tali  da rendere possibile il nostro stare al mondo.
E quindi desidero che si tratti di una mera registrazione, abbastanza precisa, dell’accaduto. Non inventare nulla, osservare ciò che è stato e sapere che le cose sono andate così, anche se tutto poteva andare diversamente.

Chiara Bertola, L’illusione della certezza; Sergio Risaliti, Scrittura dell’invisibile appena percepibile,. In: Dire il tempo. Mariateresa Sartori, Ed.Gli Ori, 2019

Elisabeth A. Pergam, Drawing in the Twenty-First Century: The Politics and Poetics of Contemporary Practice, Ashgate Publishing Company, England, 2016, pag 407

Bruno Giorgini Senior Science Associate to the Physics of the city Laboratory and INFN, Bologna and Mariateresa Sartori,  Human mobility world lines on urban topologies

Samuel Bordreuil, sociologist, Emeritus Senior Researcher at the French CNRS, Scientific Director of the IMéRA, Marseille, France

FLUX URBAINS, FIGURES LIBRES : L’IMéRA, EXPLORATORIUM ART/SCIENCES

De toute ligne pure, libre d’aller où elle veut et à son rythme propre, Paul Klee ne trouve pas de meilleure formule que de dire qu’elle « goes for a walk », qu’elle « sort faire un tour »… 1

Si la ligne pure se présente pour Klee comme un idéal esthétique, ira-t-on jusqu’à soutenir que le moindre passant ferait du Klee sans le savoir ?… Retraçant scrupuleusement ces tracés, c’est en tout cas avec ces lignes pures que Mariateresa Sartori renoue ! Plus précisément que sa main, sa main-sismographe, renoue. Comme elle le dit, « sa main voit », elle qui suit la trace sans jamais pouvoir la précéder.

Maintenant, ces ruissellements urbains, qui pour les recueillir ? Et en quelles citernes ? Savantes ou artistes ? On dira, pour l’heure, qu’ils se tiennent sur cette ligne de partage des eaux, cette ligne de crête, aussi bien entre « art et science » qu’entre « arts et arts » et enfin « sciences et sciences »…

Cette main, littéralement esclave du mouvement des autres, accomplit en effet deux choses en même temps. Dans son souci d’exactitude, elle se love dans le protocole de l’observation scientifique; mais elle libère aussi bien des secousses de vie et déplie leurs voltiges : une célébration que l’on attend de toute forme artistique …

En un mot, sans confondre ces bassins de sens, elle les met au défi de leurs raccords.

Si bien que ces dessins, cette installation, on propose de les recevoir comme le stylet de ce défi.

 

 

Tutti quelli che vanno2022-10-20T18:02:43+00:00

Sistemi complessi

5’ 44’’,  colori,  sonoro ,  2006-2009

 

Questo video è nato grazie all’incontro con il fisico teorico Bruno Giorgini e i ricercatori del  Laboratorio di Fisica della Città dell’Università di Bologna, www.fisicadellacitta.it, che hanno messo a mia disposizione, a esclusivi fini di ricerca artistica,  i filmati della folla ripresa dall’alto durante il carnevale di Venezia e le simulazioni virtuali della dinamica dello spostamento delle persone, che si basano  su  un nuovo modello fisico-matematico formulato dagli stessi ricercatori.

 

 

Sistemi complessi2020-07-28T17:49:32+00:00

Tutte le pause del mondo

9’30’’ , colori,  sonoro , 2006

undici coppie di parlanti undici lingue diverse ripresi durante una conversazione spontanea che, come tutte le conversazioni,  presenta frazioni di silenzio, di pausa.

 

Ciò che appare privo di significato, come i momenti di silenzio in una normale conversazione tra persone, in realtà porta con sé moltissime informazioni semantiche.  Nel momento in cui si dà, la pausa diventa soggetto  con una propria forte identità e valenza: lo spazio tra le persone cambia, l’aria si tende,  si carica di attesa, oppure diventa rarefatta, o ancora  la luce si stempera. Il mio è il tentativo di mettere a fuoco il “tra”, quello che sta in mezzo e che pare trascurabile. Nella ridistribuzione dei pesi, il vuoto assume il rilievo dovuto, mentre il pieno conquista una diversa leggibilità: la lingua viene percepita in quanto superficie nella sua stupefacente arbitrarietà, un pieno che si dà nella relazione con il vuoto.  Con Samuel Beckett: “Quanti silenzi di tre secondi per fare un silenzio totale di 24 ore?”

Anche in questo caso, come in altri lavori, ho utilizzato un espediente per preservare naturalezza e spontaneità delle persone riprese.

 

Mariateresa Sartori, Tutte le pause del mondo, Galleria Michela Rizzo, Venezia, 14 luglio – 9 settembre 2006

Tutte Le pause (e i contatti) del mondo

Riccardo Caldura

 

L’atmosfera, il tono di quest’ultimo video, come di altri di Mariateresa Sartori, ha qualcosa di analitico che di primo acchito può disorientare.

Il video è scandito in modo lineare e coerente come se si trattasse della messa insieme di materiali a carattere documentativo. Non vi è alcuna particolare indulgenza nell’ uso del mezzo, nel senso che è non vi si tro­vano manierismi, tecnicismi, né una autoriflessione sulla natura del mezzo stesso. Il video è appunto un mezzo e, come tale, tende a ‘scom­parire’ nell’utilizzo che ne fa l’autrice. È uno strumento efficace, serve allo scopo, in modo funzionale. E lo scopo è dar forma e comunicazio­ne, la meno retorica possibile, a ciò che viene osservato nel campo della vita’ (ricorro a questa espressione in analogia con una definizione di un dipinto in Jasper Johns: Field Paiting, 1963-64). Ciò che agisce nel ‘campo della vita’ è dato dall’interazione affettiva, emozionale. Il video diventa così una sonda che osserva dall’‘interno’ una situazione emozio­nale e la documenta. Dall’interno: intendendo che il campo di osserva­zione privilegiato ha a che fare con la vita e anche con la biografia del­l’autrice, ma in maniera tale che sarebbe inutile pretendere di ritrovar­vi elementi meramente soggettivi, personali. Il ‘biografico è materiale trattato analiticamente: la voce del figlio che impara a leggere alla fine del video «Visto da qui. Progetto lettura ostacolata»; la silhouette del padre, e di se stessa, nelle tele di anni addietro, particolari della propria abitazione, come set di Tutte le pause del mondo o qualche famigliare che compare fra gli altri protagonisti del medesimo video. Il primo passo forse è stato proprio questo: osservare in maniera ‘spersonalizzata’ quel che vi è di personale, assumendo una distanza, quella permessa dallo strumento, negli ultimi anni soprattutto la videocamera, come se lo strumento permettesse di detergere lo sguardo dalla opacità del coin­volgimento soggettivo. L’esito di questa presa di distanza non è in alcun modo da confondere con la freddezza o con 1 indifferenza. Lo sguardo analitico credo tocchi piuttosto il piano della pietas, che non è da inten­dere come il ‘risvolto’ positivo di contro al dissezionamento, così fre­quentato artisticamente, della sfera affettiva e del contatto intrapersona­le. La pietas è piuttosto il riconoscimento della condizione umana, lo sfondo che appare essendosi applicati a quel particolare campo di osser­vazione costituito primariamente dalla propria e altrui vita. La pietas mi sembra essere l’esito di una posizione limpidamente laica che viene vis­suta, e dunque restituita sul piano formale, come una intima assunzione di responsabilità verso gli altri, essendo il cerchio degli ‘altri’ ormai non più riferibile ad un Altro. E gli altri sono da intendere non solo come i ‘propri’ — coloro che appartengono alla sfera esistenziale e affettiva per­sonale – ma come ‘tutti’ gli altri. ‘Tutti gli altri’ entrano nell’ultimo video, si siedono sul divano nella abitazione dell’autrice, di fronte alla sua videocamera; si siedono sempre in coppia, perché è la relazione e l’interazione che interessa all’autrice; ‘tutti gli altri’ si sondano recipro­camente per cercare una possibile risposta comune alle domande for­mulate in un questionario. Il questionario, predisposto nelle diverse lin­gue corrispondenti ai paesi di provenienza degli intervistati, non mira a sondare alcunché di particolarmente rilevante dal punto di vista statisti­co; di fatto è una richiesta di informazioni che non ha come scopo pre­cipuo il raccogliere informazioni. E’ una sorta di sondaggio di opinio­ne che mira piuttosto a scrutare ‘il modo’ di esprimersi dell’opinione stessa, cioè le incertezze, o le sicurezze, di fronte ad una richiesta inu­suale, la cui risposta non ammette sfumature, prevedendo solo le opzio­ni vero/falso. Come ci si accorderà per rispondere a «Entrando in casa di amici è antiquato dire ‘permesso’?». Se eventualmente ci si potrà accordare, o se invece non si dissentirà l’un dall’altro. E come si espri­meranno l’assenso, il dissenso, la perplessità? E vi sono differenze da rile­vare qualora gli ‘tutti gli altri’ chiamati davanti alla videocamera, siano di cultura medio-orientale piuttosto che nord-europea, oppure giappo­nesi piuttosto che americani? La procedura per predisporre il dialogo di volta in volta fra due persone delle più diverse provenienze è basata su una identica sequenza di domande, tradotte nelle varie lingue. Procedura che sembra avere le caratteristiche di un test di comprensio­ne linguistica, oppure di un’indagine sociologica sulle differenze di espressione nelle varie culture: una sorta di indagine su quella sfera extraverbale costituita dallo strato dei gesti, degli sguardi, o dei silenzi prima di una risposta. In questo senso non è certo casuale che il mezzo scelto dall’autrice sia il video, cioè sia una forma visiva, e non sia invece il predisposto questionario, che nello svolgersi dell’azione viene ripreso di rado, così che non è facile inizialmente capire cosa susciti il dialogo fra le persone. Non è il linguaggio l’oggetto principale dell’a­nalisi dell’autrice, ma l’extraverbale, il gesto, il heve sfiorarsi delle mani lo scambio degli sguardi. Cioè l’autrice colloca su un piano diverso dà quello della lingua la questione, centrale per il logos e per il sapere, del vero/falso. Si preoccupa di restituire, visivamente, lo strato della com­plessità che si mostra quando due persone cercano un accordo, interro­gan osi 1 un l’altro. Dunque, considerando il complessivo approccio analitico siamo probabilmente di fronte ad un repertorio in fieri dei modi non verbali, che sostanziano la comunicazione intrapersonale.

na sorta di atlante del comportamento in una situazione data, a cer­care delle costanti, che, nello specifico, rivelino, al di là delle diverse lin­gue, uno strato più profondo della condizione umana. E della condizio­ne umana colta in quel momento nel quale due persone cercano una possibile risposta comune.

Ciò che ha attirato l’attenzione dell’artista – la pausa della conversazio­ne, che e divisione e ponte, interrogazione e ricerca, sospensione fra il proseguire della linea conversativa o sua deviazione – evidenzia bene quale sia il punto di contatto fra le modalità della comunicazione intra­personale, il taglio documentaristico-analitico e l’ambito di ricerca nel quale si colloca Mariateresa Sartori: quello artistico.

Quel che compete all’artistico, nel novero delle discipline e delle prati- c e odierne, e costituito paradossalmente dal suo non risolversi in una specificità Cioè quel che intendiamo con pratica artistica è una pratica concetta e e produttiva dalla difficile definizione. Una pratica nella qua e si può ricorrere, come nel caso della Sartori, ad approcci analitici risolvendoli però in una ‘forma’ di comunicazione (non saprei descri­vere altrimenti il materiale proposto) così che quella condizione umana che le varie discipline analiticamente segmentano, possa essere restitui­ta alla sua generalità. Condizione umana data dal non sapere e dal cer­care una reciprocità: questo sembra evidenziare la sua osservazione del campo della vita’. Credo che la pausa in cui due persone precipitano per un momento quando si interrogano senza sapere se l’esito sarà assenso o dissenso, abbia molto a che fare con la questione della forma, e dunque dell’artistico. Il contatore, strumento così ‘scientifico’ e asetti­co, che compare nel video della Sartori misurando il tempo di durata del silenzio nella conversazione, è accompagnato dalla evidenziazione dei profili delle due persone che stavano parlando. Ciò che viene così in primo piano è il conteggio del silenzio, e simultaneamente la ‘forma’ che questo assume tradotto nella ripresa ravvicinata dei volti.

Questa mattina ho reinserito nel lettore dvd lo stesso video, lo guardo ancora una volta. E semplice e diretto: la sequenza dei colloqui si apre con un’immagine grafica del suono vocale, con il contatore che scorre, poi seguono i dialoghi, e l’evidenziazione della durata delle pause è sot­tolineata dal sovrapporsi del contatore elettronico. In realtà ci si accor­ge osservando con più attenzione che il tempo viene misurato in modo preciso quanto approssimativo: l’oggettività della misurazione si flette assecondando la particolare condizione del rapporto fra le persone, si flette alla particolare circostanza del loro reciproco relarsi: la misura della pausa può così dilatarsi, e la somma finale, (ammesso vi sia una somma finale), è data dalla misurazione non solo oggettiva, ma anche qualitati­va delle diverse pause. Perché non vi è una standardizzazione possibile del ‘vivere’ la pausa: si guarda l’altro, si guarda altrove, si guarda il foglio, ma come se non lo si vedesse. E la misurazione di questo momento perde di ‘oggettività’. Il tempo si misura, si dilata, si flette quando non c’è azione; in un passo tratto da un testo particolarmente significativo per l’autrice, ci si immagina che le pause e i silenzi, sommandosi, riem­piano l’intero arco del giorno. L’insieme delle ventiquattro ore costitui­rebbe una grande pausa nella quale non vi sarebbe più azione. Il dila­tarsi del tempo, la sua sospensione, evidenziata formalmente nel video dal vuoto fra i volti, è il venir meno dell’azione. In questo senso un giorno fatto di sole sospensioni rappresenta un’immagine molto effica­ce di quello stili frante che a suo tempo fu, per la pittura, la natura morta. Immagine delle cose, cristallizzata in un luogo/momento dove niente più accade, dove non vi è azione. Il video della Sartori si apre con il conteggio numerico della durata delle pause, pause dell’agire e del con­versare, però non si conclude così. E considerando la fine del filmato, verrebbe da proporre all’autrice una variazione del titolo, non più solo tutte le pause del mondo, ma anche tutti i contatti del mondo. Perché la pausa, come rivelano le sequenze finali del suo lavoro, lascia accadere il con­tatto; la pausa è sì cesura ma è anche ponte; amplifica lo spazio fra le persone, ne dilata per un momento la distanza, le rende vicinissime ed estranee lungo il sentiero di un risposta da cercare, ma alla fine è in quello spazio sospeso e dilatato che avviene il contatto, che la mano sfiora colui o colei che ha accanto. E il video registra, in una condizio­ne simil-sperimentale, la fenomenologia della relazione fra le persone. Relazione di reciprocità, il contatto è avvenuto, la sospensione non ha solo annullato per un momento il rapporto fra le persone, l’ha nuova­mente reso possibile. Le immagini di un Lui e di una Lei, che caratte­rizzavano la ricerca pittorica della Sartori negli anni ’90, ritrovano, nel video (mezzo che sottolinea l’intima coerenza della sua opzione media­le degli ultimi anni) quel contatto che – di un lui e di una lei, e di tutti gli altri — ‘anima’ la reciprocità.

Entrando in casa di amici è antiquato dire «permesso»?

Venezia, giugno 2006

 

Tutte le pause del mondo2020-07-28T17:13:58+00:00

Visto da qui. Progetto lettura ostacolata

8′ 50”, colori, sonoro, 2004

 

Ho messo a punto alcuni “esercizi” che mirano a rendere difficile ma non impossibile la lettura di un testo, tramite speciali marchingegni  appositamente studiati.  Nel riprendere le varie situazioni, si è fatta particolare attenzione ai singoli modi di reagire degli individui e alle dinamiche relazionali tra le persone.  La lettura che ne risulta tradisce nel tono e nell’accento la difficoltà a comprendere anche  il senso della frase.

Ho messo a punto alcuni “esercizi” che mirano a rendere difficile ma non impossibile la lettura di un testo, tramite speciali marchingegni  appositamente studiati.  Nel riprendere le varie situazioni, si è fatta particolare attenzione ai singoli modi di reagire degli individui e alle dinamiche relazionali tra le persone.  La lettura che ne risulta tradisce nel tono e nell’accento la difficoltà a comprendere anche  il senso della frase. Per comprensione intendo non solo l’aspetto razionalistico, ma anche quello emotivo, nel senso di far propria, di con-prendere la realtà. Tutti noi ci sforziamo di comprendere la realtà  e questo sforzo ci porta  evidentemente ad una effettiva maggiore comprensione, che è tuttavia pur sempre  relativa, perché  siamo “sempre in assenza di argomenti assolutamente determinanti” e perché  “qualsiasi conoscenza del reale è una conoscenza incompleta”. L’umano sforzo della comprensione della realtà ha inizio con la nascita e ci accomuna tutti. Ecco quindi la voce finale di bimbo in cui si percepisce tutto lo sforzo volenteroso e commovente di comprendere il testo che gli è dato leggere.  La lettura stentata, l’unica umanamente possibile,  è anche generatrice di  interpretazioni possibili.

 

SAPENDO INCONSAPEVOLMENTE

di Angela Vettese

 

Da anni, con calma e determinazione, Mariateresa Sartori conduce un lavoro che si centra tecnicamente sul video ma che non si arena all’interno di questo lessico. Il filo conduttore di opere anche molto diverse è anzitutto, ai miei occhi, la loro capacità di raccontare delle storie e di portarle a oscillare tra il microevento e un afflato epico. Peraltro la cifra stilistica dell’artista è una secchezza che non concede alla narrazione che i suoi tratti sintetici, anche quando essa si prolunghi nel tempo. Non c’è spazio per un sentimentalismo evidente, anche se questi documenti aprano voragini di emozioni – riso, attenzione, coinvolgimento, inmedesimazione e così via.

L’artista ha il merito di congiungere istanze morali con accenni alla ricerca scientifica e in generale con la conoscenza: il vero punto di svolta per la storia umana recente, ma soprattutto per quella futura ed in misura che stentiamo a immaginare.

Lo sforzo appare quello di fotografare gli uomini comuni, e attraverso di loro l’uomo nella sua generalità, mentre cercano di capire ciò che vivono: attraverso la scienza, attraverso il senso dell’orientamento, attraverso l’aggregazione in gruppi e i legami di gruppo più o meno forzati. La comprensione del mondo che riusciamo a raggiungere è peraltro forzatamente incompleta e destinata a comportarsi come un asintoto, una parabola che non può  giungere a toccare la linea verticale a cui  tende. Così capiamo senza capire, decidiamo senza avere gli elementi per farlo, agiamo sostanzialmente nel buio.  Ciò che è accaduto su scala filogenetica, alla specie, ovvero la sempre maggiore comprensione del mondo che ci attornia, accade anche su scala ontogenetica nello sviluppo del bambino; peraltro l’evoluzione del sapere comune così come l’educazione individuale sono i compiti più gravosi a cui l’umanità si sottopone, sapendo inconsapevolmente –  e si perdoni un inevitabile ossimoro, che è la medesima chiave del lavoro di Mariateresa Sartori – che questo è l’unico mezzo di difesa. Come gruppi e come individui, nei differenti momenti della storia e nei luoghi della geografia più disparati, impariamo a imparare in modo volenteroso, impegnato, accanito e per questo commovente. Citare nelle maniere più diverse la continua tensione a superare un limite invalicabile è ciò che, in questo lavoro, rende conto dell’eroica grandezza di un’umanità piccola e incerta.

Angela Vettese

Visto da qui. Progetto lettura ostacolata2020-07-28T17:54:42+00:00